Equiparati alle Vittime del Dovere. Riconosciuto lo status ad operaio civile della Marina Militare ucciso dall’amianto
Il 2 agosto 1999 è una tipica giornata d’estate a La Maddalena. L’aria è immobile, limpida, non c’è maestrale. Forse un ultimo sguardo ai bagliori del cielo lo getta anche l’uomo che per 35 anni ha aggiustato le navi all’Arsenale della Marina Militare. Era un civile, un operaio, ma come i militari non aveva orari: un’avaria allo scafo di una corvetta, al propulsore di una fregata, al meccanismo di un sistema d’arma e ci si imbarcava, si lavorava tutta la notte, se serviva. Comandava il capo officina e si obbediva come soldati.
Quell’uomo adesso lo sa che è colpa dell’amianto dei collettori di scarico e delle guarnizioni dei motori. Lo sa da quando lo hanno ricoverato per un versamento pleurico, esattamente un anno fa.
In missione per 35 anni
Trenta mesi: è quanto si è goduto di pensione. Poi il ricovero - perché anche tirare un respiro costava fatica - e quella diagnosi che non lascia scampo: mesotelioma maligno.
E lo sanno anche i colleghi e i superiori e i dottori delle Commissioni Mediche e del Comitato di Verifica: l’arsenale militare e tutti i convogli erano imbottiti di amianto. Perciò la morte dell’uomo che aggiustava le navi, il 2 agosto ’99, viene riconosciuta subito dipendente da causa di servizio.
Negli anni la medicina e la giurisprudenza hanno fatto strada ed è assodato: stare a contatto con l’amianto significa lavorare in condizioni di rischio straordinario.
Quell’operaio meccanico che per 35 anni ha lavorato in mezzo all’amianto, allora, è una vittima: più precisamente un equiparato a Vittima del dovere, ne sono convinte anche la vedova e le figlie, perché la legge parla chiaro: gli equiparati sono coloro che hanno contratto “infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura effettuate dentro o fuori i confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali ed operative”.
Non c’è dubbio: “col lavoro che faceva, papà era sempre in missione e se non sono particolari le condizioni che ti vedono lavorare a contatto con l’amianto ogni giorno per 35 anni, allora non lo è nessuna”.
Il Ministero della Difesa… a oltranza
Non stupisce, tuttavia, che il Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Civile respinga la domanda. Per anni le Amministrazioni si sono asserragliate dietro le sfumature semantiche di “missione” e “particolari condizioni ambientali e operative”. Per anni - per necessità di bilancio più che per amore di lessico - sono state severe e restrittive oltre ogni buon senso.
Secondo il Ministero, alle familiari superstiti non possono essere riconosciuti i benefici degli equiparati alle Vittime del Dovere. Per quanto sia pacifico che le condizioni ambientali ed operative in cui lavorava la Vittima fossero rischiose (esposizione all’amianto), tali rischi non sono stati affrontati durante “lo svolgimento di mansioni straordinarie che esulano dalla attività ordinaria e sulla base di un preciso ordine dell’autorità sovraordinata o nell’ambito di una precisa missione”.
In pratica, soltanto un militare può andare in missione e soltanto quando espressamente incaricato a svolgere un compito fuori dal comune, più o meno un’impresa da libri di storia. È chiaro dunque che per un semplice operaio meccanico non può sussistere la “missione” evocata dal comma 1, art 564 della legge 266/2005, né si può parlare di rischi straordinari: anche quando avesse respirato amianto ogni giorno per 3 decenni, non avrà svolto nulla più che la sua mansione.
Come dire che non sono straordinari i rischi, se non è extra-ordinaria la missione durante la quale tali pericoli sono occorsi.
È sulla base di queste considerazioni persino paradossali che il Ministero ha impugnato le sentenze di primo e secondo grado, entrambe già favorevoli ai familiari della Vittima. Ora, finalmente, la decisione della Cassazione pone fine a un calvario durato anni.
La Giustizia all’ultimo grado
Come stabilisce la recente giurisprudenza ottenuta dallo Studio Guerra, infatti, è missione qualsiasi “compito”, “funzione”, “incarico”, “incombenza”, “mandato” o “mansione” comandata da un’autorità sovraordinata. Poco importa se si tratti di militari o civili, impegnati in un compito ordinario o straordinario e circoscritto nel tempo e nelle modalità.
Di conseguenza, anche le condizioni ambientali o operative particolarmente rischiose non sono connesse alla straordinarietà della missione: possono verificarsi o sopraggiungere anche nel quotidiano svolgimento del proprio lavoro.
Sullo specifico tema dell’amianto, poi, lo stesso Consiglio di Stato, aveva già chiarito che è necessario e sufficiente che il dipendente “..abbia contratto l’infermità in occasione o a seguito dello svolgimento della propria attività di servizio a bordo delle unità navali, ovvero su mezzi o in infrastrutture militari nei quali era documentabilmente presente amianto”. Come dire che la particolarità e straordinarietà delle condizioni ambientali o operative si configura per la semplice presenza della sostanza cancerogena dell’ambiente di lavoro.
Su queste basi, la Cassazione ha dato ragione allo Studio Guerra e reso giustizia ai familiari della povera vittima, riconoscendo loro gli importanti benefici previsti dalla legge e contribuendo all’evoluzione di una giurisprudenza che sempre più risponde all’obiettivo originario delle norme a favore delle Vittime del dovere ed equiparati.