La mamma di Peppino Impastato nel memoriale del Giardino dei Giusti di tutto il Mondo

Un cippo in granito ed un ciliegio selvatico ricordano Felicia Bartolotta Impastato nel Giardino dei Giusti di Milano.
Il Giardino dei Giusti di tutto il Mondo, è un luogo simbolico che la città di Milano ha voluto dedicare alla memoria delle figure esemplari di resistenza morale di ogni parte della Terra. Nel Giardino vengono onorati gli uomini e le donne che hanno aiutato le vittime delle persecuzioni, difeso i diritti umani ovunque fossero calpestati, salvaguardato la dignità dell’Uomo contro ogni forma di annientamento della sua identità libera e consapevole, testimoniato a favore della verità contro i reiterati tentativi di negare i crimini perpetrati. A ciascuno di loro è dedicato un ciliegio selvatico, messo a dimora durante una cerimonia in sua presenza o con la partecipazione dei suoi familiari, con un cippo in granito deposto nel prato sottostante. Il giardino si trova nella grande area verde del Monte Stella.

Dal 8 marzo 2016, Felicia Bartolotta Impastato fa parte della grande famiglia del Giardino dei Giusti. A testimonianza della “RESISTENZA MORALE E CIVILE DELLE DONNE PER LA PROPRIA DIGNITÀ, PATRIMONIO UNIVERSALE”. Nei giorni della ricorrenza della sua scomparsa, la ricordiamo attraverso il gesto con il quale la città di Milano ha voluto ospitarla all’interno del Giardino dei Giusti di tutto il Mondo. Il ciliegio selvatico che da allora porta il suo nome, continua a crescere a fianco dei ciliegi di Vaclav Havel, Primo Levi, Nelson Mandela e i tanti Giusti che hanno fatto grande il genere umano. Nonostante il genere umano.
Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Peppino Impastato

Felicia Bartolotta nasce in una famiglia della piccola borghesia provvista di qualche appezzamento di terra, coltivato ad agrumi e ulivi. Il padre è impiegato al Comune, la madre casalinga, come sarà anche Felicia. Si sposa, nel 1947, con Luigi Impastato, di una famiglia di piccoli allevatori legati alla mafia del paese. Il 5 gennaio 1948 nasce Giuseppe, detto Peppino; nel 1953 nasce il secondogenito Giovanni. Luigi Impastato, durante il periodo fascista, aveva fatto tre anni di confino a Ustica, assieme ad altri mafiosi della zona, e durante la guerra era stato dedito al contrabbando di generi alimentari. Dopo non ebbe più problemi con la giustizia. Il cognato di Luigi, Cesare Manzella, marito della sorella, era il capomafia del paese. Manzella muore nel 1963, ucciso dall’esplosione di un’auto imbottita di tritolo.
La morte dello zio colpisce profondamente Peppino, che aveva quindici anni e da tempo aveva cominciato a riflettere su quanto gli dicevano il padre e lo zio. Felicia ricorda che le diceva: «Veramente delinquenti sono allora». L’affiatamento con il marito dura molto poco. Lei stessa afferma: «Appena mi sono sposata ci fu l’inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: ‘Stai attento, perché gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre’». Felicia non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Manzella, e litiga con Luigi quando vuole portarla con sé in visita in casa dell’amico. Il contrasto con il marito si acuirà quando Peppino inizierà la sua attività politica.
Per quindici anni, dall’inizio dell’attività di Peppino fino alla morte di Luigi, avvenuta otto mesi prima dell’assassinio del figlio, la vita di Felicia è una continua lotta, che però non riesce a piegarla. In quegli anni non ha più soltanto il problema delle amicizie del marito. Ora c’è da difendere il figlio che denuncia potenti locali e mafiosi e rompe con il padre, impegnandosi nell’attività politica in formazioni della sinistra assieme a un gruppo di giovani che saranno con lui fino all’ultimo giorno. Felicia difende il figlio contro il marito che lo ha cacciato di casa, ma cerca anche di difendere Peppino da se stesso. Quando viene a sapere che Peppino ha scritto sul foglio ciclostilato L’idea socialista un articolo sulla mafia va in giro per il paese per raccogliere le copie e distruggerle. E quando l’attività politica di Peppino entra nel vivo, non ha il coraggio di andare a ascoltare i suoi comizi, ma intuendo di cosa avrebbe parlato chiede ai suoi compagni di convincerlo a non parlare di mafia. E a lui: «Lasciali andare, questi disgraziati».
Morto il marito in un oscuro incidente, Felicia intuisce che per Peppino il pericolo è aumentato: «Guardavo mio figlio e dicevo: ‘Figlio, chi sa come ti finisce’. Lo andai a trovare che era a letto, gli dissi: ‘Giuseppe, figlio, io mi spavento’. E come apro quella stanza, ché ci si corica mia sorella là, io vedo mio figlio, quella visione mi è rimasta in mente».
La mattina del 9 maggio 1978 viene trovato il corpo sbriciolato di Peppino. Felicia dopo alcuni giorni di smarrimento decide di costituirsi parte civile nel processo per l’omicidio. Una decisione che nelle sue intenzioni doveva servire anche per proteggere Giovanni, il figlio che le era rimasto e che, al contrario, in questi anni si è impegnato assieme alla moglie (anche lei Felicia), per avere giustizia per la morte di Peppino. Felicia ricorda: «Gli dissi: ‘Tu non devi parlare. Fai parlare me, perché io sono anziana, la madre, insomma non mi possono fare come possono fare a te’». Per questa decisione ha dovuto fare ancora una volta una scelta radicale, rompere con i parenti del marito che le consigliavano di non rivolgersi alla giustizia.
Al contrario, da allora Felicia ha aperto la sua casa a tutti coloro che volevano conoscere Peppino. Le delusioni, quando sembrava che non si potesse ottenere nulla, e gli acciacchi di un’età che andava avanzando non l’hanno mai piegata. Al processo contro Badalamenti (fortemente voluto da lei e dal figlio Giovanni), venuto dopo 22 anni, con l’inchiesta chiusa e riaperta più volte grazie anche all’impegno di alcuni compagni di Peppino e del Centro a lui intitolato, con il dito puntato contro l’imputato e con voce ferma lo ha accusato di essere il mandante dell’assassinio. Badalamenti è stato condannato, come pure è stato condannato il suo vice.
Entrambi sono morti, e Felicia, che aveva sempre detto di non volere vendetta ma giustizia, a chi le chiedeva se aveva perdonato rispondeva che delitti così efferati non possono perdonarsi e che Badalamenti non doveva ritornare a Cinisi neppure da morto. E il giorno in cui i rappresentanti della Commissione parlamentare antimafia le hanno consegnato la Relazione, in cui si dice a chiare lettere che carabinieri e magistrati avevano depistato le indagini, esprime la sua soddisfazione: «Avete risuscitato mio figlio». Felicia ha accolto sempre con il suo sorriso tutti, in quella casa che soltanto negli ultimi tempi, dopo un film che ha fatto conoscere Peppino al grande pubblico, si riempiva, quasi ogni giorno, di tanti, giovani e meno giovani che desideravano incontrarla. Rendendola felice e facendole dimenticare i tanti anni in cui a trovarla andavano in pochi e a starle vicino erano pochissimi. E ai giovani diceva: «Tenete alta la testa e la schiena dritta».
Muore il 7 dicembre 2004 nella sua casa a Cinisi.
Il brano “FELICIA BARTOLOTTA IMPASTATO, la madre di Peppino Impastato” è tratto dalla scheda pubblicata da Gariwo, La Foresta dei Giusti, che ringraziamo pubblicamente per l’apprezzata concessione alla riproduzione. Il testo originale è disponibile sul sito di Gariwo ed è raggiungibile cliccando questo link.