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L’Inail è la prima tutela per medici e infermieri impegnati nell’emergenza coronavirus

Quando pensiamo alle professioni più pericolose, quelle che comportano i maggiori rischi di infortunio, trauma o malattia, forse non pensiamo in prima battuta a quelle svolte dai medici, infermieri e operatori sanitari in genere.
L’epidemia di coronavirus, invece, ha reso evidente a tutti quanto possano essere esposte queste figure professionali, che oggi fronteggiano l’emergenza in prima linea, rischiando il contagio più di chiunque altro, in condizioni di lavoro proibitive per la durata dei turni e lo stress continuo cui sono sottoposti.

Una tutela speciale

Che medici e infermieri svolgessero compiti particolarmente rischiosi, anche al di fuori dell’attuale emergenza, era per fortuna noto al Legislatore (d.P.R. 1124/1965) che, infatti, li aveva già inclusi tra le categorie cui viene riconosciuta la copertura assicurativa dell’INAIL.
Questa garanzia offre loro tutela in caso di malattie professionali o infortuni sul lavoro, contemplati proprio in ragione dei rischi maggiori che la loro professione comporta.
L’infortunio sul lavoro è l'evento traumatico, avvenuto per una causa violenta sul posto di lavoro o altrove ci si trovi comunque per motivi lavoro, che comporta l'impossibilità di svolgere l'attività lavorativa per più di tre giorni
La malattia professionale è una patologia dovuta a una determinata attività lavorativa protratta nel tempo, causata sia dall’ambiente di lavoro (esposizione ad agenti nocivi, utilizzo di macchinari, apparecchiature, indumenti indossati, caratteristiche del luogo in cui viene svolta l’attività), sia dall’impegno psicofisico che l’attività stessa ha richiesto (sforzi, posture obbligate, microtraumi subiti, ecc.).

Le malattie incluse nel testo unico e quelle “non tabellate”

Nel momento in cui fu pubblicato, il d.P.R. 1124/1965 contemplava un certo numero di malattie professionali  (art. 3 della stessa norma) coperte dall’INAIL ed elencate e nelle tabelle allegate al Testo Unico.
Tale elenco, con il progredire delle conoscenze tecnico-scientifiche, è stato periodicamente aggiornato.  
Alle infermità “tabellate”, si sono poi aggiunte le patologie “non tabellate”. 
All’atto pratico, accedere alla tutela INAIL per un’infermità tabellare può essere più facile, essendovi presunzione della dipendenza dall’attività svolta. Per le patologie non tabellate, invece, occorre dimostrare caso per caso che la malattia sia derivata esclusivamente o in maniera prevalente e determinante dal lavoro svolto (utilizzo macchinari, ambiente lavorativo, esposizione ad agenti nocivi, ecc, ovvero dall’attività psico fisica richiesta per lo svolgimento delle proprie mansioni). 
In buona sostanza l’onere della prova, in questa seconda ipotesi è totalmente a carico del lavoratore.

E il covid-19?

Pare, tuttavia, che il recentissimo coronavirus non ponga questo tipo di problema. Benché in più di una circostanza abbia espresso una certa ambiguità sulla categoria (infortunio o malattia) cui vada ascritto il nuovo virus, l’INAIL ha recentemente reso noto che “I contagi da Covid-19 di medici, infermieri e altri operatori di strutture sanitarie in genere, dipendenti del Servizio sanitario nazionale e, in generale, di qualsiasi altra Struttura sanitaria pubblica o privata assicurata con l’Istituto, avvenuti nell’ambiente di lavoro oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa, sono inquadrati nella categoria degli infortuni sul lavoro”.  Per approfondire consulta la circolare INAIL allegata.
L’attuale tutela in tema di infortuni  (e di malattie) sul lavoro, prevista dalla vigente normativa, non si limita al solo rapporto assicurativo, ma prevede un vero e proprio “sistema globale integrato” con interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro, prestazioni economiche in favore degli infortunati, tutele in ambito sanitario, percorsi riabilitativi e programmi di reinserimento nella vita sociale e lavorativa.

Come fare domanda? la procedura amministrativa

In caso di infortunio - nello specifico, in caso di contagio da Covid-19 - il lavoratore deve immediatamente darne comunicazione al proprio datore di lavoro, indicando gli estremi del certificato redatto dal proprio medico curante (certificato che lo stesso medico dovrà trasmettere telematicamente all’INAIL). Il Datore di Lavoro entro le successive 48 ore deve inviare la comunicazione di infortunio (che ha valenza ai fini statistici, in quanto la procedura verrà messa in atto al ricevimento del certificato).
In caso di malattia professionale il lavoratore deve comunicare al proprio datore di lavoro entro 15 giorni dal manifestarsi della patologia il proprio stato, indicando gli estremi della certificazione redatta dal proprio medico curante (anche in questo caso se la comunicazione è tardiva il diritto è intatto, ma la tutela avrà inizio dall’istanza e non dall’origine della malattia), allegando anche gli eventuali successivi certificati relativi alla prosecuzione delle cure. Il datore di lavoro ha l’obbligo (previste sanzioni in caso di inadempienza) di presentare denuncia di malattia professionale all’INAIL entro 5 giorni dal ricevimento della comunicazione pervenuta dal proprio dipendente.
Il termine di prescrizione è di 3 anni dal manifestarsi della patologia o dall’evento infortunistico.
Al termine del periodo di inabilità l’INAIL chiama a visita il lavoratore per accertare l’eventuale danno permanente.
Relativamente al periodo di assenza dal lavoro per i primi tre giorni è garantito lo stipendio per intero a carico del datore di lavoro, per i successivi giorni resta a carico del datore di lavoro il 60% e l’INAIL eroga la quota mancante per raggiungere l’intera retribuzione dovuta sino alla cessazione del periodo di inabilità lavorativa temporanea.
In caso di mancato avvio della procedura da parte del datore di lavoro (o quando non vi sia più un datore di lavoro di riferimento) la procedura può essere attivata personalmente dal lavoratore, purché agisca nel termine di 3 anni.
É prevista la possibilità di presentare istanza di revisione (per aggravamento) del proprio stato di salute. Questa può essere prodotta sino a 10 anni dall’evento infortunistico, entro 15 anni per malattia professionale, senza limiti di tempo per alcune specifiche patologie (esposizione a polveri di silicio o a polvere di amianto).
In caso di mancato riconoscimento delle prestazioni ovvero laddove il lavoratore non ritenga corretta la valutazione della percentuale di infortunio accertata, è possibile opporsi al provvedimento presentando preliminarmente ricorso amministrativo entro 60 giorni dalla comunicazione dell’atto contestato (il termine non è perentorio).

Il ricorso al giudice del lavoro

Qualora il ricorso amministrativo venga respinto o non dia luogo ad ulteriori provvedimenti (la procedura deve, comunque, concludersi in 150, o 210 giorni) nei successivi 60 giorni è possibile agire giudizialmente, presentando ricorso al Giudice del lavoro.
Il ricorso va in ogni caso presentato entro il termine perentorio di 3 anni (e 150 o 210 giorni) dalla conoscenza della malattia o dall’evento infortunistico.